Tutte le teorie a me note intorno la poesia sono figlie del pregiudizio metafisico, che parte da una data apparenza per dedurne logicamente le altre. Quindi si cercò l'equazione della poesia, quindi invece di spiegarla, fu resa impossibile e fu distrutta.
Stando ad alcuni filosofi, la poesia è la stessa verità, emerge dalla scienza e dalla sapienza, e mille volte fu ripetuto che il bello è l'irradiazione del vero. Qui l'arte vien disconosciuta: la poesia non è dotta, nè veridica, non vuole esser serva di alcuna dottrina; essa prodiga i suoi tesori alla verità quanto all'errore, scorre libera in mezzo alle finzioni, il suo campo naturale è quello della favola. La verità, invece di spiegare la poesia, l'accusa di menzogna e di follìa; l'accusa di ingannare, di traviare, senza che mai possa render ragione delle sue aberrazioni. Qualche volta la poesia è savia, divien didattica, e allora è fredda compassata, riducesi ad un ornamento inutile e frivolo della verità; l'insegnamento si migliora sciogliendosi dall'impaccio del verso e dall'equivoco della metafora. La verità proscrive adunque la poesia. Platone condanna i poeti, li sprezza quai ciurmadori, li esilia dalla sua Repubblica. Posto il principio del vero, anche l'eloquenza deve subire la sorte della poesia: gli stoici la condannano: secondo essi, al sapiente un sol motto deve bastare. Se parla quando ha già esposto il vero, divien frivolo; se parla quando la dimostrazione vien meno, allora si fa giuoco di noi, la frivolezza cede il posto alla perversità. La poesia, l'eloquenza e in generale tutte le arti, sono altrettante forme dell'errore dal momento che si giudicano sotto l'aspetto della verità.
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Repubblica
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