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      Nella scienza, nella pratica prendiamo la vita come un fatto, i suoi istinti come altrettanti dati; non pensiamo che a soddisfarli considerandoli nel mondo come altrettante forze. Ivi l'insegnamento è preciso, deve essere vero, accetta gli impulsi primitivi della vita; sarà l'interesse mosso dall'onore o dalla gloria o dall'amore; nella pratica il nostro pensare e il nostro agire non guardano se non alle leggi, all'urto, all'equilibrio delle forze esteriori. All'opposto, nell'arte il mondo non è un fatto, è un'ipotesi fantastica, i fenomeni esteriori sono dati mobili, variabili, di cui possiamo disporre a piacere, dimentichiamo la verità meccanica, e abbiamo solo lo scopo di destare in noi le melodie del mondo interno. Quando l'uomo opera, domina il mondo colle sue passioni; quando è poeta, regna sulle passioni creando un mondo fantastico. Nella scienza siamo liberi di conoscere o d'ignorare, ma il mondo è fatale, inesorabile quanto la verità; nell'arte è il mondo che trovasi libero, che si può modificare a piacere, la fatalità è in noi, nel ritmo della vita che ci anima.
      Ritorniamo alle diverse spiegazioni della poesia: il loro difetto sta nel dimenticare il ritmo della vita; ristabilito il ritmo della vita, sarà facile rettificarle e trarne profitto. - Fu detto essere l'arte un'imitazione della natura: il detto sarà vero, se l'imitazione dell'arte si propone, non di copiare le cose, ma di risvegliare il ritmo ad esse corrispondente. Dovunque l'imitazione serve alla cosa imitata, qui l'imitazione serve ad una legge di cui le manifestazioni non hanno nulla di comune colle cose.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693