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      Allora il sistema mistico è completo, la musica è scritta; l'arpa che il poeta deve toccare è temprata. La fede si scema, è permesso di dar la parola agli Dei senza profanarli; il sole del bello comincia a spuntare, si può intendere il canto del cigno. Virgilio celebra Roma che declina, il sistema romano lascia indurre la poesia di una grandezza che può perire; il cristianesimo è imminente: è tempo di celebrare gli Dei di Anchise, più tardi non sarebbe più tempo. Istessamente i contemporanei di Carlomagno non scrivono le epopee cavalleresche; le epoche che cominciano quando il feudalismo decade.
     
     
     
      Capitolo XIII
     
      I SIMBOLI RELIGIOSI
     
      La bellezza de' dogmi che periscono non è muta, ma significativa, rappresenta una verità; in altri termini è simbolica.
      Il simbolo viene fatto dalla natura; l'uomo, creandolo, agisce fatalmente, è l'istrumento cieco di una vita fatidica. Per chi lo inventa, il simbolo è la stessa verità, non rappresenta se non sè stesso: per gli evangelisti, Gesù Cristo è il figlio di Dio, la sua vita è un fatto. Il simbolo nasce nell'istante in cui la fede cessa, quando il Cristo ha cessato di essere il figlio di Dio, quando la sua vita non è altro che una leggenda, allora la tradizione del Cristo si abbellisce, e la sua bellezza ce lo mostra come la figura della religione dell'umanità.
      Nel simbolo l'errore indica la verità: in qual modo il falso può indicare un vero? Non lo sappiamo; l'indicazione è affatto poetica e vitale; se la vogliamo meccanicamente precisa, il senso del simbolo scompare.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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