Qui il credente paventa esseri che non esistono, si prostra dinanzi a statue indifferentissime alla sua adorazione, è mistificato dalla propria fede, e il sistema de' suoi sentimenti lo rende essenzialmente comico agli occhi degli increduli. Quindi Luciano e Voltaire: quante declamazioni contro il volterianismo: dotti, pedanti, gesuiti, voi vi siete collegati contro la satira: conato inutile. Si ride, siete vinti.
Il mefistofele di Goethe non è volteriano, deride l'uomo, non il credente; la sua ironia sorge amara, quasi dal più cupo fondo della mente. E qui ancora sta nell'equivoco tra i sentimenti dello uomo e le cose della natura, tra la nostra aspettativa e la realtà che ci attende; l'equivoco ci fa parere l'uomo mascherato, ce lo mostra sulla sua corsa a traverso i secoli sempre vinto dalla plumbea fatalità e sempre inteso a celebrare vittorie mani che si smarriscono nel nulla.
L'uomo è un animale che ride perchè s'inganna d'assai, perchè varia di sentimenti; tolto l'errore, il ridicolo non starebbe. Però il ridicolo non si oppone al vero, non fa equazione coll'errore; non si oppone al bello, non fa equazione col deforme; non si oppone se non al serio, bello o deforme, vero o falso; non si oppone se non al serio, preso qual sinonimo di naturale, di spontaneo. Il ridicolo può essere bello, brutto, vero, falso, perchè queste qualificazioni abbracciano ogni manifestarsi della vita e degli esseri. Come adunque il ridicolo diventerà sorgente di bellezze, materia dell'arte? Come ogni altra cosa, purchè siavi la bellezza, e si riveli al poeta.
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Luciano Voltaire Goethe
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