Nè si può opporci l'enormità degli errori del pazzo. Nel manicomio l'uno si chiama imperatore, l'altro si crede Dio; un altro è trasportato dal furore dell'omicidio; ma pur l'intelligenza considera queste aberrazioni, benchè mostruose, come meri errori, meri inganni, e non altro. Ora, la follìa è più che un errore, più che un'illusione. Volete caratterizzarla? Dimostrate l'istante in cui l'errore divien malattia, in cui l'illusione diviene l'alienazione mentale; dimostratelo colla sola intelligenza, e l'intelligenza avrà sciolto il problema. Se questa dimostrazione manca, la teoria è annullata.
L'intelligenza sembra distinguere la fillìa dall'alienazione mentale; quando l'alienato opera senza ragione, senza motivo, quando sragiona di continuo trasportato dal moto della sua propria parola: allora parla, ride, i suoi periodi non possono compiersi, la sua attenzione non può fermarsi, i suoi scritti non hanno senso; il fato ha vinto l'intelligenza. Qui, dov'è la follìa? nell'intelligenza? No; l'alienato è caduto in una specie d'idiotismo animato, ciarliero, è un morto che parla, l'intelligenza è interamente svanita. D'altronde, se havvi la mania del disordine, havvi altresì la mania che chiamasi raziocinante. I medici non si stancano di lodarne gli sforzi, l'imaginazione, la destrezza, l'astuzia. Pinel parla di un infermo che costruiva ingegnosissime macchine cercando il moto perpetuo. Vi sono alienati in cui la mente si leva ad un'altezza che reca meraviglia. «L'uno di essi» dice Pinel, «ne' suoi accessi parlava dei fatti della rivoluzione colla forza, la dignità e la purezza della parola che appena potevasi attendere dall'uomo più profondamente istrutto, e dal più sano giudizio.
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Dio Pinel
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