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      Non potendo caratterizzare la follìa dell'istinto isolato, la teoria morale non può dunque giudicarlo se non prendendo l'istinto quale si sviluppa colle idee, voglio dire colla realtà, col sistema delle nostre credenze, e allora ricadiamo necessariamente nella teoria intellettuale. Qui giudichiamo la follìa colle nostre idee: la follìa si confonde coll'errore e col delitto; noi confondiamo il delinquente col mártire, l'alienato di mente col profeta, la pazzia coll'ispirazione, l'entusiasmo coll'alienazione mentale; e i caratteri che separano la follìa dallo stato regolare della vita ci sfuggono di nuovo.
      La indecisione della teoria morale si riproduce quando vuol determinare le cause della follìa. Classificare gli alienati secondo le passioni, imputare alla collera o all'amore il disordine della mente, penetrare nel labirinto degli istinti, nel caos della vita, che varia d'epoca in epoca, che presenta un numero indefinito di fasi correlative alla varietà delle cose, che risvegliano la rivelazione interiore, è un fermarsi ad indicazioni empiriche, assolutamente spoglie d'ogni valore scientifico. In quella guisa che l'arida nomenclatura degli istinti non spiega alcun eroe nella storia, alcun uomo nella società, non ispiega neppure il disordine indefinitamente variato che si manifesta nelle malattie della vita. Possiamo forse dominare Luigi XIV colla teoria frenologica delle passioni? No; convien vederlo sul trono di Francia nel decimosettimo secolo, conviene interrogarne le idee allora s'intende l'uomo.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





Luigi XIV Francia