Per una conseguenza naturale gli istinti non rendono ragione della follìa, conviene interrogare le idee del demente, e allora si ricade nella teoria intellettuale.
La cura della follìa nella teoria morale è naturalmente dettata dal principio astratto dell'ordine morale. Che sono, per questa teoria, gli istinti? Sono forze di cui essa misura gli effetti meccanici; essa si preoccupa di coordinarle, di evitar l'urto, di sopprimere il male; essa è morale, e pertanto considera la follìa come un vizio, che devesi reprimere con mezzi meccanici. Gli antichi manicomj erano vere prigioni, ove incatenavansi gli ammalati, battevansi, punivansi della follìa, quasi fosse un peccato. L'idea di reprimere la follìa è forse scomparsa? Regna ancora. Qualunque siano le intenzioni del medico, l'umanità dei costumi, le teorie sull'alienazione mentale, il sentimento è più forte del pensiero; e l'uomo che governa i pazzi è trascinato dalla forza stessa del linguaggio ad ammonirli come orfani. Nei guardiani l'istinto è più forte del dovere; essi malmenano gli alienati, oppongono risolutamente l'ordine al disordine, il bene al male; e il direttore del manicomio può appena mitigare l'inevivitabile brutalità della repressione. Insomma, l'alienato è prigioniero. Questa cura è benefica? È inevitabile, ben diretta, è utile, ma per ragioni affatto estranee alla teoria morale della pazzia. Perchè reprimere il demente? per qual ragione la repressione può ricondurlo alla misura del senso comune? La teoria morale lo ignora.
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