La pazzia è una specie di travestimento, una maschera, in cui si mette in contraddizione la vita colle cose; essa è ridicola come tutti i travestimenti, in cui trovasi quell'aspettativa fallita, quella subita indecenza, quella mancanza di misura esterna che desta il sentimento comico. Chi giudicherà dunque la follìa? Noi stessi, ogni uomo; basta esser uomo per indicare la linea che separa la vita regolare dalla demenza; basta consultare il nostro intimo senso per intuire il senso leso, fatta astrazione da ogni dogma, da ogni religione, dall'immensa varietà de' sistemi che rendono gli uomini non riconoscibili gli uni agli altri. A prima giunta, quando ci decidiamo ad imprigionare il demente, sembra che facciamo atto d'intelligenza. Il nostro discorso, sempre esterno, spiega il nostro ritmo vitale colle cose esterne. Giudicando il pazzo, ripetiamo le sue parole, le sue azioni, raccontiamo le sue stravaganze, insistiamo sugli errori suoi, sulle sue visioni; crediamo di dominarlo colla verità. È un inganno. Gli errori e le stravaganze del demente possono trovarsi nella vita regolare: si può attendere un Messia, o credersi Dio senza essere infermo di mente: tutto può essere giustificato; la saggezza può sembrar pazzia, la pazzia saggezza. Ma la rivelazione interiore scansa l'astratta possibilità del vero e del falso, del bene e del male, e ci mostra nel discorso del pazzo il disordine del ritmo vitale. Mille volte prodighiamo l'epiteto di pazzo; or bene, le manie che ci rendono attoniti, la pazzia delle passioni, la breve follìa dell'ira (furor brevis), non sono giudicati se non dal ritmo naturale dei nostri istinti.
| |
Messia Dio
|