Dimandiamo conto del merito alla logica? Essa vorrà transire dal morale al fisico, dal merito alle forze meccaniche; riporrà il merito nell'organizzazione, nel temperamento, nelle circostanze, il merito svanirà. Secondo la logica, Nerone, Socrate, Ulisse, Tersite sono creazioni egualmente fatali, egualmente meritorie, o piuttosto egualmente irresponsabili. Ma hannovi due rivelazioni, due mondi, due serie di fenomeni schiettamente separate ed opposte; la logica, che non può riunirle, deve esserne dominata e vinta dalle due rivelazioni, essa afferma il merito nel mondo interiore, distruggendolo nel mondo fisico. Così nella serie fatale dei fenomeni storici, Socrate doveva apparire, e soccombere; la Grecia doveva produrlo e sacrificarlo; Melito era predestinato a condannarlo, e Platone a celebrare la sua morte. Qui il merito sparisce. Se c'identifichiamo coll'azione di Socrate o di Melito, la fatalità si trova surrogata dalla moralità; stimiamo il sacrifizio, disprezziamo l'egoismo, e la logica stessa ristabilisce quella nozione del merito ch'essa nega nella serie delle cause e degli effetti.
La sanzione è la conseguenza inevitabile del merito. Stando alla logica, la sanzione si ridurrebbe ad un premio, ad una pena; essa pagherebbe la virtù, multerebbe il vizio, trasformerebbe la morale in un traffico mercantile, la dissolverebbe. Ma se si rimane nella coscienza, nel campo della rivelazione morale, al fenomeno del merito succede necessariamente quello della sanzione. L'uomo morale si sacrifica senza sperare alcun premio, rifiuta il prezzo del suo sacrificio, vuole star solo colla sua responsabilità, vuol essere quello che è. Questo è il merito nella sua grandezza tragica.
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