Il libro di Grozio, spinto alle ultime conseguenze nelle autoritā e nella teoria, nelle note e nel testo, metterebbe in contraddizione la poesia e la giustizia, l'autoritā del genere umano e le dimostrazioni della ragione. Da un lato ci mostrerebbe la poesia variabile, inconsistente, senza fermezza, senza coerenza; dall'altro lato, ci mostrerebbe l'astratta giustizia, ignorata, rinnegata dai legislatori e dai poeti dell'antichitā e de' tempi di mezzo; i quali certamente non avevano i concetti, nč la ragione, nč la dottrina del primo fondatore del diritto delle genti. I poeti che Grozio invoca distruggono la sua teoria. La poesia, lo ripetiamo, deve essere interrogata solo dal sentimento, dalla poesia stessa che ci anima ed istruisce solo colla bellezza, fatta astrazione dall'intento, dalla scienza e dalle stesse massime del poeta. Allora il diritto si rivela uno, coerente, ammirando; allora Walmiki, Omero e Dante ci presentano le tre grandi armonie morali dell'India, della Grecia e del medio-evo. L'Iliade ci fa intendere l'ira di Achille e il diritto eroico, nč puō spiegare l'una senza svelare l'altro. Questo diritto č barbaro, contrario alla nostra giustizia; eppure la bellezza lo consacra; Omero c'insegna la rivelazione morale dei tempi. antichi. I testi delle leggi vetuste avrebbero potuto porgere notizie pių copiose, pių fide, avrebbero potuto atteggiar meglio gl'interessi eroici, il sistema dei premj e delle ricompense, l'ordine esterno e meccanico della vita greca. Ma la vita stessa ci sarebbe sfuggita.
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