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      Era questo un progresso? Sì, qualora noi consideriamo il solo emanciparsi della mente, il discredito dell'errore, l'attrazione del vero che sottrae all'impero della leggenda cristiana i filosofi tutti, siano essi atei come Pomponaccio o credenti come Malebranche. Ma la teoria della fede entrava nella più infelice delle sue fasi; alle equazioni errate degli scolastici succedeva la negazione stessa della fede e la filosofia, collo sbandire la fede condannava sè stessa, rimaneva impotente, rimaneva senza fede, in un mondo di astrattezze; la metafisica si stabiliva come vera metafisica incapace di toccare la terra e di governare gli uomini. Così, quando Leibniz e Locke con due sistemi opposti parlano della fede, si direbbero insensati. Leibnitz prende la fede nella sua attuazione cristiana. «Si può paragonare la fede,» dice egli, «all'esperienza, poichè la fede, quanto ai motivi che la verificano, dipende dall'esperienza di coloro che hanno visto i miracoli, su cui la rivelazione è fondata.» Sempre Leibnitz confonde la fede col sapere: l'equazione tra la fede e la ragione, è compiuta, sostituisce dovunque la ragione alla fede. Leibnitz crede o affetta di credere ai miracoli, ai misteri, come si crede (il paragone è suo) all'esistenza della China attestata dai viaggiatori. Mai non intende l'essenza della fede, che segue il vero senza confondersi con esso: tosto che il vero ripugna alla fede, Leibnitz nega la fede. Che dice dell'entusiasmo? «È il nome che si dà», dice egli, «al difetto di coloro che credono ad una rivelazione soprannaturale (immediata).» Dunque l'entusiasmo è un difetto, la fede e un imperfezione: dunque tutto deve ridursi al sapere meccanico e miscredente tosto che il dubbio ci assale nell'azione.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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