Locke si spinge più oltre. «L'assentimento», sono le sue parole, «che accordiamo alla rivelazione soprannaturale si chiama fede. Essa determina «la nostra mente, esclude il dubbio quanto può farlo la nostra cognizione, perchè possiamo dubitare della nostra esistenza quanto possiamo dubitare che una rivelazione procedente da Dio sia vera. Così la fede è un principio di assentimento e di certezza sicuro e stabilito su basi irrepugnabili, e che non lascia alcun luogo al dubbio ed all'esitazione. La sola cosa di cui dobbiamo assicurarci si è di sapere se questa o quella cosa è una rivelazione divina, e se noi ne intendiamo il vero senso: senza di che saremmo esposti a tutte le stravaganze del fanatismo e a tutti gli errori che possono essere generati da falsi principj, quando si presti fede a quanto non è divinamente rivelato.» Vedesi apertamente che per Locke la fede non è se non la credenza a una verità religiosa rivelata, credenza la cui natura è identica colla credenza alle matematiche ed alle scienze fisiche. La fede di Locke e di Leibniz è tutta contemplativa: è la scienza, non è la fede. Quindi Locke esagera il disprezzo di Leibnitz per l'entusiasmo; consiglia l'indifferenza, perchè l'ignoranza e l'indifferenza, disse egli, sono più vicine al vero, che non l'errore. In sentenza di Locke la fede non è se non un fermo assentimento; egli la vuole avvalorata dalle prove, la riserva alla rivelazione, e la nega all'entusiasmo, ove la trovi sola.
L'errore dei metafisici era profondo e corrispondevagli nella teologia l'errore, non meno profondo, che nega la ragione.
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