L'antinomia si ristabilisce. Accettiamo l'eguaglianza formale: se due famiglie approdano a un'isola deserta, se la dividono in due parti eguali: questo è il primo risultato dell'eguaglianza che autorizza la divisione, e dimanda l'eguaglianza delle parti. Una famiglia prospera, l'altra cade nella miseria, l'eguaglianza formale esige che il primo contratto di divisione sia osservato; ecco la distinzione del ricco e del povero creata dallo stesso principio dell'eguaglianza. La famiglia povera contrae debiti, ogni anno vende anticipatamente alla famiglia ricca la sua rendita, e finisce per saldare i suoi debiti, cedendo a porzione a porzione tutto il suo patrimonio. Essa rimane senza terra, è ridotta a vivere di lavoro, cade nella servitù del salario. Ecco l'eguaglianza che dà per ultimo effetto la distinzione del padrone e del servo. La famiglia povera è sempre stata libera, mai non ha subita alcuna violenza; i suoi contratti, dalla divisione dell'isola fino all'ultima transizione della servitù, furono stipulati sulla base della più perfetta eguaglianza, e l'eguaglianza ha distrutto la libertà. Direte voi libero lo schiavo? In tal caso la libertà e l'eguaglianza saranno una derisione: il diritto sarà l'artefice della schiavitù; la logica distrugge l'una coll'altra le due prime nozioni del diritto.
La libertà e l'eguaglianza non devono esser considerate quali astrazioni: reali e viventi, esse sono consacrate dal sentimento giuridico, e misurate dall'interesse. La libertà astratta non è nulla; il diritto comincia nell'istante in cui siamo assaliti; allora ci sentiamo liberi, e l'ispirazione giuridica della libertà protegge le nostre azioni.
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