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      Ma codesto contratto implicito fu riconosciuto? l'occupazione dei proprietari fu sancita? Sono questioni di fatto. Ora, se consulto la storia, non trovo altro nell'origine della società che guerre, prede, conquiste; la servitù del debole, la cinica superbia del più forte. I nostri antenati furono spogliati o spogliatori. Se qualche volta la storia sembra obbedire alla ragione, io trovo riparti eguali, leggi agrarie, pubblici banchetti, un sistema d'eguaglianza in contraddizione colla proprietà. Invece di confermare l'ipotesi di Puffendorf, la storia la nega; essa stimola il povero a chiedere al ricco i titoli della sua ricchezza. E poi, che importa il passato? Giusto o ingiusto, è passato; ogni soluzione, ogni teoria deve essere attuale: ogni generazione ha il diritto di disporre di sè, di stabilire il suo contratto sociale, di non vivere nella infelicità prestabilita più secoli prima da uomini forse barbari, e certo infelicissimi. Ogni rivoluzione mette in dubbio la proprietà: come sciogliere il dubbio? Se il diritto del proprietario fu tollerato, questo diritto cessa colla tolleranza; se i proprietari hanno dettate le leggi per difendersi, il popolo vuole difendersi alla volta sua; esso protesta. Il consenso sussiste finchè nessuno reclama: ma finchè nessuno reclama, la giustizia è inutile, consentienti non fit injuria; la giurisprudenza può tacere, non havvi lite. La causa nasce colla contestazione, colla lotta; e Pufendorf, che ammette la comunanza, non può trarne la proprietà.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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