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      In somma, ammesso il lavoro come titolo alla proprietà è titolo simile all'occupazione, appartiene ad ogni uomo dotato di braccia, di mente, di forze; e se il lavoro fonda la proprietà, fonda nel tempo stesso la comunanza.
      Mancando ogni espediente, la metafisica invocava Dio, per transire dalla comunanza alla proprietà. «Col prender possesso,» dice Burlamacchi, «si accetta la destinazione che Dio ha fatto dei beni della terra a tutti gli uomini.» Questa destinazione è universale? Non si può dubitarne; e pertanto costituisce la comunanza universale, la consacra, aggiunge nuova forza alla tesi che nega il diritto di proprietà. Il creatore di tutti gli uomini non poteva creare dei privilegiati; nè la giustizia eterna imporre l'ineguaglianza mostruosa che risulta dalla proprietà; la proprietà diventa un sacrilegio. Supponiamo pure che Dio voglia fondata, la proprietà ma chi interpreta la sua volontà? L'uomo. E con qual mezzo può egli conoscerla? Altro mezzo non v'ha che intelligenza, e l'intelligenza non può scandagliare l'intenzione di Dio se non coi titoli dell'occupazione, del lavoro, del consenso universale, della necessità politica; e dovunque la libertà e l'eguaglianza si collegano e s'escludono; dovunque consacrano nel tempo stesso la comunanza e la proprietà.
      Esposi l'antinomia della proprietà e della comunanza. Proudhon se ne impadronì, la gettò in piazza a spavento dei ricchi. V'hanno molte differenze tra la sua antinomia e la nostra. La sua antinomia non conosce il metodo che la genera; spesso vien confusa col mero contrasto tra il fatto ed il diritto; spesso viene afferrata nelle astrattezze che la travisano; del rimanente, egli la prende sempre per una contraddizione positiva, di cui promette la soluzione.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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