Il contratto può condannarci alla fame, alla miseria, alla più assoluta schiavitù; se ci lasciamo trascinare dalla matematica insidiosa dell'eguaglianza, il contratto può divenire immorale, tirannico, omicida. Indi un dilemma. La promessa accettata è irrevocabile? Il contratto ci uccide. Possiamo noi revocare la promessa accettata quando ci danneggia? Il contratto non è più contratto, è inutile perchè si stipula precisamente per guarentire il nostro contraente contro il nostro pentimento.
Il dilemma del contratto è lo stesso dilemma della libertà e dell'eguaglianza, della proprietà e della comunanza. Che è il contratto? È una promessa accettata, è una doppia alienazione di valori; in ultima analisi, è un atto che trasmette in tutto o in parte la nostra libertà. Che è adunque la rescissione del contratto? È la violazione di una promessa accettata, di una proprietà acquisita; è un'offesa che può distruggere in tutto o in parte la nostra proprietà. Dunque la rescissione del contratto sarà misurata dal diritto di necessità, e pertanto sarà governata dall'utile e dall'ispirazione giuridica, che determinano il diritto di necessità.
Tale è il principio che scioglie il dilemma del contratto. Applicasi egualmente ai contratti reali ed ai personali. Il diritto ingiurioso del contratto, la tirannia del diritto acquisito sarà sempre limitata dal limite della libertà e della proprietà, dal diritto di necessità. Così potremo rifiutare il grano venduto, se divien necessario alla nostra sussistenza: se occorre, non potremmo toglierlo di viva forza?
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