Se ciò fosse permesso, sarebbe lecito di rubare, per poi esercitare atti di beneficenza: l'inventore avrebbe diritto di fallire per sostenere le spese delle sue invenzioni; insomma nessun contratto obbligherebbe, perchè la ricchezza potrebbe sempre servire al nostro perfezionamento morale. La promessa accettata non è annullata dall'imperiosa necessità di evitare una immoralità suicida, che viene misurata da un sistema rivelatore dei nuovi interessi. Così, guadagnati alla rivoluzione, sentiamo che ci perderemmo rimanendo sotto l'antica legge cattolica ed assolutista, e la rivelazione ci impone di rescindere tutti i contratti stipulati per la difesa del cattolicismo e della monarchia.
Il progresso dell'eguaglianza e della comunanza interviene adunque nel contratto perchè subisca il moto emancipatore del progresso. Nella barbarie il contratto è assoluto, sta nel diritto, non considera la materia; quando la promessa è accettata non v'ha limite nel modo di rescinderlo; la libertà regna sola, la proprietà è implacabile. Se Agamennone ha promesso il sacrifizio d'Ifigenia, se Jefte ha giurato d'immolare la figlia, il sangue deve essere versato; se Esaù ha venduto la sua primogenitura per un piatto di lenti, non v'ha principio che lo redima dalla frode di Giacobbe. Quindi la schiavitù e la miseria si propagano in pari tempo che si propaga la civiltà; essendo più facile al ricco che al povero il profittare di ogni trovato. Per sè stesse la più tirannica libertà, la più vasta proprietà sarebbero tollerabili; ma intorno all'uomo libero per eccezione e potente per le ricchezze sta la misera turba dei diseredati, la quale cede alla fame, al dolore, e contrae obbligazioni immani, insopportabili, per sostentare la vita.
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Agamennone Ifigenia Jefte Esaù Giacobbe
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