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      «Non è l'uomo che domina sugli altri uomini,» dice Epitteto, «ma la morte, ma la vita, ma il piacere, ma il dolore: tolte queste considerazioni, mi si conduca innanzi all'imperatore, e si vedrà come starò ritto.» Il triste scambio della schiavitù può dunque trasformarsi in contratto; la sventura può avvilire, togliere ogni coraggio, annullare il sentimento giuridico della dignità perduta. Lo schiavo si abitua all'irresponsabilità, all'imprevidenza, all'indigenza, all'annientamento della sua persona. Si forma una nuova morale, quella della schiavitù. Riceve qualche benefizio? Allora rinasce alla vita, ama il padrone, s'identifica col suo onore; nelle colonie la sua devozione sorpassa l'abnegazione dell'amicizia, diventa eroica, e la schiavitù può essere accettata, può creare 'eroismo della schiavitù. Dall'altro lato, il padrone inbaldanzisce col signoreggiare, l'assenza d'ogni ostacolo gli dà un ardire che le sole forze dell'animo suo non potrebbero ispirargli; l'abitudine del comando trasforma il comando in diritto, fa nascere quella dignità, quell'istinto politico, quella previdenza, quella forza d'animo che ammiriamo negli antichi. Nelle società antiche gli uomini liberi erano, per così dire, principi e generali, ogni senato era una vera assemblea di re, e l'orgoglio della signoria col crearsi la sua morale, creava il suo eroismo, che opponevasi all'eroismo della schiavitù. Quindi lo schiavo perde la metà della sua ragione, ed è il padrone che se ne insignorisce; lo schiavo perde la metà della sua coscienza d'uomo, il padrone, profittandone, s'innalza al disopra dell'umanità. Se nelle nostre leggi la schiavitù è un delitto, se nella rivelazione che ci illumina il padrone è infame, la schiavitù nondimeno può essere istoricarnente intesa come uno scambio possibile, come un contratto implicito ed anche esplicito.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





Epitteto