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      Concesso poi istoricamente, esso diviene valido come gli altri contratti; finchè dura la rivelazione sotto la quale fu stipulata, l'obbligazione dello schiavo rimane consacrata.
      Il problema della schiavitù fu da noi posto per determinare il momento della rescissione del contratto. Il patto della schiavitù è perento nell'istante in cui si manifesta in noi un'obbligazione superiore, vale a dire, un nuovo interesse sostenuto da un nuovo sentimento. Quando l'uomo nasce, lo schiavo scompare, nella misura determinata dalla necessità materiale di obbedire ad una legge morale. Se il padrone è in pari tempo sacerdote e signore come in Russia, lo schiavo dovrà osservare il contratto; se Abramo crede che Dio gli imponga di svenare Isacco, egli deve svenarlo. Sia lo schiavo istruito, sia distrutta la religione che lo inganna, la realtà si muta, una nuova necessità si manifesta; lo schiavo non può obbedire senza mentire a sè stesso; la sua collera prorompe, lo emancipa. Dov'è il principio liberatore? Nelle idee, nel sistema dei valori, degli interessi che risvegliano una nuova morale. Non v'ha mezzo per liberare chi è schiavo di mente; se infrange i suoi ceppi, cade preda di altro padrone, e non muta stato. E la schiavitù è infinita nelle mille forme che assume; qui è un giuramento che obbliga ad uccidere il fratello, là è uno scrupolo che strazia sul letto di morte, altrove prende le sembianze dell'amore che vincola alla famiglia: resiste all'aguzzino, ma teme il sacerdote; odia il sacerdote, il pontefice, l'imperatore, poi legge avidamente la Bibbia, interroga l'oracolo dell'evangelio, non crede alla giustizia, rimane schiavo di Dio, e tosto incontra chi sa fare le sue veci in terra.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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