Il problema della rivoluzione è più vasto e le mille volte più profondo del problema del credito. Questo si restringe nella circolazione della ricchezza, vede nella rendita un diritto di pedaggio prelevato dal ricco sull'industria; vede nel frutto del capitale, nell'affitto delle terre e delle case una tassa prelevata sull'operaio, sul trafficante, sul merciaiuolo: vede ogni industria dipendente da un capitale, tributaria della proprietà. Vuole adunque abolito il pedaggio, soppresso il tributo e sostituito il credito reciproco, il credito gratuito alla spinosa circolazione, che deve traversare le rôcche e le cittadelle della ricchezza prima di animare l'industria e di compensare l'operaio. Ma non iscorgesi evidente l'impossibilità di ogni equa reciprocità nei crediti, nei prestiti, nelle anticipazioni, nei salari, finchè la ricchezza trovasi radicalmente viziata nell'origine e nello scopo, voglio dire al punto di partenza e al punto d'arrivo? In primo luogo, la ricchezza è viziata nel punto di partenza. L'ineguaglianza non è forse presupposta da ogni atto economico? ogni atto economico non emana forse dal riparto attuale delle fortune? Il riparto attuale non è forse un riparto di forze e di potenze stabilito a priori in favore del ricco? Il ricco possiede le terre, i capitali, le case; senza il suo consenso non si può disporne; nè l'industria può lottare contro l'inerte egoismo del ricco. In secondo luogo, la ricchezza è viziata nel suo scopo finale: chi ordina all'operaio di porsi al lavoro? chi comanda alle fabbriche di tessere i drappi, le stoffe, gli addobbi?
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