Quando lo Stato fu padrone de' beni del clero e de' nobili, praticò anch'esso l'abolizione della feudalità a nome dell'egoismo. I beni nazionali furono messi all'incanto, venduti ai ricchi, ai trafficanti, a chi voleva godere e sprecare; la classe che disponeva dello Stato imbandì tavola sfacciata alla cupidigia, alla gozzoviglia, si divise all'asta i beni che il popolo aveva tolto alle instituzioni del medio-evo: lottò bensì contro il clero e l'antica nobiltà, ma spogliando nello stesso tempo il paese. Nè si dica la vendita resa urgente dai bisogni della guerra, o resa utile dalle imminenti reazioni che dal 1814 avrebbero ritolti allo Stato i beni da lui conquistati. Io parlo del diritto, e non del fatto, della rivoluzione, e non delle traversie: i beni spettavano al popolo, erano dello Stato; la necessità dell'educazione nazionale li reclamava, il dovere di assicurare una base al lavoro d'ogni operaio, d'ogni artefice, li voleva ordinati all'emancipazione della plebe, i cui diritti erano proclamati dalla Convenzione. Ma l'eguaglianza astratta regnava; un'avida disinvoltura e un governo faccendiere rapirono al popolo la sua conquista. I termidoriani sospendevano la rivoluzione, e da qual punto i suoi beni furono prodigati nelle urgenze del momento; da quel punto la guerra assorbì tutti i tesori dell'avvenire, cessò di essere fatta sulla terra del nemico; in Italia Napoleone rapiva le statue, i quadri, e rispettava i beneficj ecclesiastici, i beni de' nobili; lasciava sussistere privilegi innumerevoli, in Francia soppressi.
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