Il contratto della schiavitù non basta ancora a Grozio non dà ancora l'equazione della sovranità: e se lo schiavo è servo del proprio contratto; in ogni contratto sonovi casi che invocano la decisione dei tribunali o quella della guerra; sonovi casi che suppongono l'eguaglianza delle parti, il diritto d'interpretare il patto, di mantenerlo, di annullarlo. Grozio deve caercare altri termini all'equazione della sovranità, altre equazioni alla servitù del cittadino. La donna, dice egli, dopo scelto il marito, gli deve obbedienza per sempre; la tutela, benchè stabilita a profitto del minore, non dà al minore il diritto di ribellarsi contro l'autorità del tutore. Lo schiavo, la donna, il minore, ecco il popolo; il padrone, il marito, il tutore, ecco il governo: ed è così che Grozio giunge in pari tempo alla sovranità e al despotismo. Tutta la sua giurisprudenza di Grozio ci domina quasi fossimo schiavi, donne o fanciulli. Grozio non ha inteso l'uomo, lo paventa; se l'uomo apparisse, distruggerebbe la sovranità, lo stato, la società. Ma l'uomo appare ad ogni istante; un giorno scopre verità che il sovrano ignora; l'altro giorno proclama una religione che il sovrano perseguita, o svela l'impostura d'un dogma che il sovrano impone colla forza. Che fa Grozio? Combatte per il sovrano contro la verità, per la legge contro la giustizia, per l'autorità contro la ragione: se il sovrano ci fa investire dai sicari, Grozio vuole che imitiamo la legione tebana, e se Grozio ci permette di difendere la nostra vita, c'impone di non ferire gli assassini.
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