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      Lo scambio è utile, è necessario; nel fatto, la storia lo mostra consentito; il consenso è necessario per attuarlo? No: secondo lo stesso Hobbes alcun patto non ci può vincolare finchè dura lo stato di natura, è uno stato di guerra: se vi sono uomini che rifiutano di accettare il patto sociale, la società ha il diritto di trattarli da nemici, di costringerli colla forza, essendo essi ancora nello stato di natura. Il governo poi è assoluto, nulla può limitarne il potere: nè l'interesse, nè la morale, nè la religione del cittadino: chi gli resiste ricade nello stato di natura, deve esser vittima del più forte, si trova in balìa del governo. Dov'è adunque il diritto? Non è nello stato di natura, non nella società, non nel governo. Se Hobbes evita la contraddizione tra la libertà e la sovranità, si è che lascia il vero campo del contratto, quello del consenso, del diritto, della promessa accettata. Per Hobbes il diritto si confonde dappertutto colla forza: è la forza che lo costituisce nello stato di natura, è la forza che lo fa essere creando la società, è ancora la forza che diventa diritto in ogni governo: dunque dappertutto il vero diritto, la libertà dell'uomo, la libertà del contratto, la libertà di chi lo interpreta insorgono contro la sovranità hobbesiana.
      Del resto, l'antinomia della libertà e della sovranità riappare nel sistema di Hobbes, anche fatta astrazione dal diritto. I fatti si oppongono ai fatti, le forze alle forze: dunque l'individuo, le sètte, le fazioni possono armarsi contro la società, e la ribellione felice sarà legittima quanto la tirannia che trionfa.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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