Per sè il metafisico cerca la soluzione di una contraddizione eterna, per discoprirla cerca un mezzo qualunque sfuggito alla penetrazione degli altri, ed offre questo mezzo come un'invenzione che ferma l'antinomia. S'inganna, l'intento prefisso è fallito; ma il mezzo proposto è una rivelazione. Egli è così che ogni gran metafisico è rivelatore. Talete non discopre l'equazione dell'universo, scopre i fenomeni dell'acqua; Anassimene osserva quelli dell'aria, Eraclito quelli del fuoco. La scuola di Elea rivelava l'essere, Democrito l'atomo, Platone il genere, Aristotele l'individuo. Zenone approfondiva i fenomeni della volontà, Epicuro quelli della voluttà, Plotino quelli dell'estasi. Si segua passo passo la filosofia, si seguiranno i progressi della rivelazione che si estende: presso Descartes troviamo la rivelazione del pensiero; Locke è il rivelatore della sensazione, Kant delle antinomie intellettuali. Gli astrologi apprendevano l'astronomia cercando l'impossibile, la metafisica apprendeva la scienza cercando ciò che sfugge ad ogni ricerca. L'errore era nella preoccupazione che fissava nell'aria o nel fuoco o nel genere o nell'individuo o in un qualsiasi fenomeno l'apparenza prima dominatrice di ogni spiegazione. La sterilità era nello sforzo, che dimandava al principio ammesso l'equazione dell'universo; sterilità che, d'altronde, ingrossava colle contese il tesoro delle contraddizioni, preparando il giorno in cui, vinte dal proprio numero, sarebbero generalizzate e riassunte per precludere ogni adito al divagare dei solitari.
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