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      La salvezza trasmondana era subordinata all'estasi, e qui l'impossibile metafisico diveniva eguale al miracolo, la filosofia diveniva religione, poteva obbligare i redenti a lasciare la terra a chi regna. Rivoluzionaria nell'intento, la filosofia alessandrina rappresentò di fatto la più grande tra le reazioni. Essa ristaurò gli idoli sprezzati, i templi deserti, un culto antiquato, credenze impossibili. Pretendevasi togliere la contraddizione tra la scuola ed il popolo, la si voleva togliere col simbolo, e il simbolo, equivoco di sua natura, a doppio senso, era la stessa contraddizione di due dottrine opposte, l'una secreta, l'altra profana. Nel momento in cui il sommo pontefice dell'universo voleva riunire l'umanità, nel momento in cui Porfirio voleva esercitare il sacerdozio universale, nel momento in cui Giuliano prendeva la difesa della filosofia, questo sacerdozio, questa filosofia non fondavano in realtà se non il regno dell'impostura; la nuova propaganda era la propaganda dell'antica conquista. Così nell'estasi il demone di Socrate si divinizza abbracciando l'universo, il felice inganno a cui Platone voleva subordinata la sua repubblica si estendeva al genere umano, la speranza o piuttosto la disperazione, che riduceva Platone a non attendere la sua repubblica fondata se non da un tiranno, conduceva i sacerdoti dell'universo nella reggia di Cesare: e se fosse stato concesso alla metafisica di recare in atto l'estasi inane della scuola, i sacerdoti diventavano esseri soprannaturali, taumaturgi, più che vicari di Dio.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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