Capitolo VI
LA METAFISICA DEL SECOLO DECIMOTTAVO
I teologi e i metafisici disprezzano la filosofia del secolo decimottavo, l'accusano di essere stata leggiera, superficiale, plebea; questo è il suo merito; e glielo diede Locke, che noi consideriamo qual rivelatore. Lasciamo i teologi e i metafisici; che ogni uomo di buona volontà interroghi Locke a nome dell'umanità, troverà in lui l'esploratore del mondo nel quale viviamo. Ecco i titoli di Locke alla nostra riconoscenza.
1.° Non cerca più un criterio assoluto, un che inconcusso; dimanda al pensiero delle cognizioni utili. L'uomo, dice egli, non può lavorare alla luce del sole, si contenti della luce del fuoco: in altri termini, non può giungere al vero matematico fuori delle matematiche, si limiti alla certezza positiva, terrestre, alle utili cognizioni. Così la filosofia scioglievasi d'un tratto dalle equazioni cartesiane, il libero esame cadeva sull'utile verità, non era trasportato nell'impossibile, la ragione discendeva dal cielo per riscattare la terra.
2.° E dove era la terra? nella percezione non chiara e distinta, ma chiara e determinata. Dunque progrediva ad onta del dubbio critico, e disdegnava le entità metafisiche quali tele d'aragno, quando si tratta del vero, e del giusto positivo e determinato.
3.° Dov'è la cognizione chiara e determinata? Nella sensazione; le nostre cognizioni, dice Locke, cominciano e finiscono colla sensazione, fuori della quale non havvi altro che il vuoto. Eccoci dunque resi alla natura; è oramai inteso che siamo di questo mondo, che urge di decomporre i nostri pensieri, di risalire alla loro origine, di tradurli in sensazioni, cioè di rettificarli coi fatti.
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