Poeta, Voltaire non è grande come Shakespeare, non è corretto come Racine: la sua erudizione non arricchisce la filologia d'alcuna scoperta, la sua filosofia si limita a volgarizzare Locke. Non è abbastanza dotto per lottare con Leibnitz, non può rivalizzare con Bayle, non sa nemmeno apprezzare Rousseau, che deve dividere la sua gloria e superarla nel momento dell'azione. Egli è spiritoso, arguto, istrutto, elegante; tutte qualità secondarie, atte a giustificare l'accusa che gli vien fatta di essere superficiale. Qual'è, adunque, il secreto della sua potenza? Egli è l'uomo della vita nuova, nasce nel mondo di Locke, possiede spontaneo tutte le cognizioni laboriosamente conquistate da Bayle e dai liberi pensatori; esse formano la sua tradizione, non ne conosce altra. Tutto in lui concorre ad uno scopo; e quale? egli stesso l'addita: ècrason l'infâme! Ecco Voltaire. La facilità è il primo carattere del suo genio, che è genio poetico. Non parlo dei suoi versi o delle sue tragedie, parlo delle sue lettere, de' suoi romanzi, della sua prosa, in una parola, della sua ironia. L'ironia erompe dal fondo dell'anima sua, è irresistibile; con un epigramma annienta errori che avrebbero resistito a più volumi; il pregiudizio arrossisce, l'impostura è svergognata; nessuno può rimanere accigliato. L'ironia svela il conflitto tra le due rivelazioni di Cristo e della natura, svela che l'Europa cristiana è una parodia del vero, che i suoi regni sono mascherate, orgie, in cui ogni uomo veste gli abiti di un altro tempo e in cui le funzioni sono distribuite a controsenso: e il poeta moltiplica i punti di conflitto tra le due rivelazioni; il miracolo soccombe.
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