E la metafisica rovina in un colla religione: il Candido discopre i deliri di Leibniz, il ridicolo della Bibbia penetra nella teodicea, e schianta la tradizione di Descartes meglio di Locke. Ecco il volteranismo: è nemico di Cristo, è il precursore alla rivoluzione, a cui tolto Voltaire si toglie la vita.
Il dato vitale della rivoluzione è adunque l'irreligione: il dato morale si trova in Rousseau. Troppo facile è criticare Rousseau: egli non è mai d'accordo colla scienza, non sa vincere l'antico meccanismo, non sa indovinare il nuovo, geme nelle angustie delle ipotesi, è un paradosso continuo; il Contratto sociale, l'Emilio, non sono libri, come si direbbe, giudiziosi. Che importa? Rousseau è il poeta della giustizia, l'antica società l'opprime, lo strazia, ed egli addita schietto il suo scopo, la vuol distrutta, vuol l'eguaglianza a qualunque patto, vuol abolita l'ineguaglianza che sorge dalla proprietà. Ecco Rousseau: lasciamo lo scritto contro la proprietà; egli la combatte dappertutto: egli la combatte quando inveisce contro la tirannia, quando vitupera i vizi della civiltà, quando disprezza le arti, l'industria, le scienze, la catena fatale delle istituzioni che sottopongono l'uomo al dominio dell'uomo. Combatte la proprietà quando vuol l'uomo libero, e desta nel lettore un'alterezza prima sconosciuta; quando, nuovo Diogene, cerca l'uomo redento dalla cupidigia nel proprio cuore; quando lo cerca virtuoso tra le Alpi colla novella Eloisa; quando nell'Emilio vuol crearlo coll'educazione indomito e invulnerabile tra gli eventi della civiltà; quando lo cerca seduto ne' comizi senza delegati, senza padroni, sciolto dai sofismi della pubblica salvezza, della finanza, del commercio, dell'industria.
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