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      I particolari, le invenzioni, gli accidenti della lotta, tutto rimane nell'ombra, l'ideale splende solo nell'avvenire. Weisshaupt vuol subito toccarlo con mano, deve improvvisar tutto, s'ingolfa nell'impossibile: di là gli infiniti precetti con cui regola il mistero; di là la discussione provocata e soffocata, eccitata e traviata; e le strane dottrine sulle intenzioni di Cristo, sulle società antiche e goffi errori frammisti ad altissimi dettati, scempie illusioni frammiste a previsioni giustissime. Voltaire e Rousseau confidano nella natura, ne abbracciano le contraddizioni, vedono i partiti che s'ignorano, che si spingono verso lo scopo, e lasciano alla natura lo scegliere gli iniziatori e il fissare la sorte di ogni iniziazione: Weisshaupt vede che la rivoluzione ha più bolge, e per crearle artificialmente, deve negare nell'una quanto afferma nell'altra, deve combattere nelle prime iniziazioni quanto poi inculca al reggente, al mago, all'uomo-re; quindi inganna, esagera l'astuzia del gesuita, s'impone quale autorità, vuol giungere al vero colla menzogna, alla natura con mille cerimonie copiate dal clero, alla libertà con un pontificato occulto che la nega ad ogni passo e che sarebbe nullo se fosse palesato. Voltaire e Rousseau predicano a tutti pubblicamente, indistintamente; le loro opere offrono mille aspetti variati, contengono tutte le iniziazioni, son tutte secrete e pubbliche. Quella pagina è diretta a un re che diventa despota illuminato; questa parla a un pontefice che sopprime i gesuiti; altrove il vago del classicismo detronizza il Cristo, e lo pareggia al savio; altrove l'empietà cammina colla fronte alzata, e vuol annientare la civiltà per giungere all'eguaglianza; e se il pontefice, se il re metton mano alla rivoluzione, nessuno li inganna, s'illudono da sè, e forse son traditi dal pensiero di ingannarla.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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