Vorreste trarvi dall'impaccio di questa costituzione, voi che sino ad ora non avete potuto mostrare bastevole energia per farla eseguire?» La guerra è dichiarata, Robespierre s'ostina a penetrare nel fondo dell'equivoco, della vuota libertà che lascia regnare gli antichi signori: egli dimanda se i popoli oppressi sono insorti contro i tiranni in favore della Francia: «Non sono insorti,» dice, «perchè la guerra è diretta dalla corte. Che si è fatto per destare, per secondare l'ardore de' patrioti belgi e liegesi? In qual maniera si è risposto alle incalzanti sollecitazioni di coloro che abbiamo veduti tra noi? Perchè, adunque, si è lasciata la stampa inoperosa? Perchè manifesti destinati a sviluppare i diritti del popolo ed i principj della libertà... non sono stati sparsi prima tra il popolo e nell'esercito austriaco? Perchè non si è offerta loro una formale malleveria della condotta che ci proponiamo di tenere, dopo la conquista, nelle cose politiche di quello Stato?»
Così Robespierre trasportò per la prima volta il problema della rivoluzione sul campo della coscienza; non ascoltato ne' primi momenti, egli rimase assolutamente solo, a' primi disastri campali la Francia cadde nel suo sistema e la Gironda ne subì l'impero a suo malgrado e senza saperlo. Quando Vergniaud, il capo della Gironda, propone di dichiarare che la patria è in pericolo, Vergniaud altro più non è che un discepolo di Robespierre. Lo copia dopo l'evento; il suo discorso è un'accusa contro la corte, una vera confessione dinanzi alla rivoluzione.
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