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      Vergniaud confessa che fu richiamato l'esercito del nord quando era vittorioso, confessa che la Francia è minacciata sul Reno, confessa che il re ha rifiutata la sua sanzione a un decreto contro la sedizione cattolica, a un decreto per stabilire un campo tra Parigi e la frontiera. Vergniaud riconosce che il re non difende la Francia, che lo straniero vuol difendere il re, che Coblentz, che il trattato di Pilnitz, che Berlino, che Vienna si collegano contro la rivoluzione, che il nemico marcia su Parigi, che le Tuilleries si armano, che il ministero tradisce; in somma, che la guerra ha messo la patria in pericolo.
      Vinto era l'equivoco della Costituente che annullava la dichiarazione dei diritti dell'uomo, era palese la differenza tra il re e la nazione, tra il nobile e il funzionario, tra il sacerdote e l'uomo. Il re cadeva, i traditori erano puniti, i tempi di Robespierre erano giunti; ognuno voleva rinnovato il patto sociale, e si convocava la Convenzione. Alla fine la ragione, proclamata dea, destituiva il Cristo; il calendario era mutato, ai santi del cielo erano sostituiti gli eroi della terra. Quattro soli anni bastarono al trionfo dell'irreligione. Se non che, la religione è la teoria della schiavitù, e se l'ineguaglianza sussiste, la religione risorge spontanea nelle idee.
      La guerra contro l'ineguaglianza fu confidata a Robespierre, e Robespierre cadde come la Costituente, perché avviluppò la dichiarazione dei diritti dell'uomo in un nuovo equivoco. Uomo di guerra, egli pensava che il nemico fosse nel governo: combatteva nell'antico governo il dominio della religione e della proprietà, non voleva risalire più oltre.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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