Nei minuti particolari la discussione che speravasi inglese era un tormento continuo, una vera insurrezione: la derisione, l'invettiva, l'odio contro l'antiquata commedia della monarchia aumentavano ad ogni passo; e giungevasi a questa conseguenza, proclamata letteralmente dagli stessi conservatori, dagli stessi ministri di Carlo X, ch'egli era cosa impossibile il governare colla libertà della stampa. D'indi le ordinanze di Polignac, d'indi le tre giornate di luglio, e il regno di Luigi Filippo.
Anche Luigi Filippo fu dittatore, e non altro; la carta toglievagli la sovranità, lo sostituiva a Carlo X, che aveva violato la libertà della stampa; era adunque inteso che dovesse rispettare la libertà dei pensiero, che ogni sua resistenza dovesse fondarsi sulla ragione, che la sua parte fosse di mostrare gli ostacoli opposti alla rivoluzione dal fato. La dittatura di Luigi Filippo fu la dittatura della discussione. La tribuna, la stampa, la letteratura non furono mai più fiorenti, né più imperiose; si entrò nell' éra delle gradazioni, delle ingegnose tergiversazioni, dei sapientissimi inganni. Per sua sventura Luigi Filippo doveva resistere ai diritti dell'uomo che rivendicano la ragione e l'eguaglianza.
Luigi Filippo difende la religione a nome della ragione; s'impadronisce del Dio di Robespierre, e senza professarlo, senza crederlo giusto, l'introduce nell'università, gli apre le porte dell'Instituto. Nello stesso mentre paga a tre cleri, al cattolico, al protestante, all'ebreo, il rispettivo salario; e re di quattro religioni distinte e contrarie, vuol ricostituire il dominio napoleonico sulle idee religiose.
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