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      Volle che la rivoluzione si fermasse, e la fermò immediatamente riducendola alle vaghe generalità che avevano resa impotente la prima repubblica,copiando a disegno una catastrofe. Il suo principio fu la libertà, e cominciò dal parlare un linguaggio, a pubblicare decreti che abbracciavano nella loro generalità la libertà dell'antica e della nuova società. I poveri e i ricchi, il minuto commercio e la banca, i comunisti e i legittimisti, tutte le classi si trovavano provvisoriamente protette dall'equivoco classico della nuova repubblica. Una stupidezza fittizia invade i giornali; ognuno si fa sollecito di favorire il doppio senso della libertà; si evitano tutti i problemi, si differiscono tutte le soluzioni. Qualche volta il governo è costretto a spiegarsi; allora si contraddice a disegno, affinchè la contraddizione apra la via a nuovi equivoci. L'emancipazione del proletario à officialmente promessa, i privilegi dei capitale sono officialmente rassicurati, i repubblicani puri fraternizzano coi banchieri, i gesuiti colla Sorbona, i vescovi benedicono gli alberi della libertà. Il classicismo, il formalismo, quel sistema di generalità indefinite, inaugurato dal Petrarca, sviluppato da Fénélon e da tutti gli uomini che si mettevano tra il medio-evo e il risorgimento, tra il cattolicismo e il protestantismo, tra la monarchia e la rivoluzione, è abbracciato, esagerato dal governo, che ben sceglie il suo nome, e si chiama provvisorio. La sua generalità iperbolica non poteva durare; la corrente degli affari doveva rovesciarlo, il suo formalismo oltrepassava i limiti del possibile.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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