Dunque il lavoro dei primi è libero, quello dei secondi è sottoposto alla necessità, in balìa dell'impresario, del capitalista, del funzionario. Dunque la libertà di Adamo Smith è equivoca: sviluppandosi sulla base dell'eguaglianza, sulla premessa della legge agraria, attua la giustizia, e confida ogni funzione all'uomo che vi è predestinato dalla natura; sviluppandosi sulla base dell'ineguaglianza, essa profitta solo ai ricchi, ai capitalisti, ai proprietari. Il lavorante di Smith è un essere equivoco, come il proprietario di Quesnay: qual'è la conseguenza? La libertà di Smith protegge egualmente il forte e il debole, il padrone e il servo; è la libertà equivoca del borghese, corrisponde alla libertà astratta dei culti, si collega colla religione astratta, è la pratica della servitù, è un equivoco che invoca una soluzione colla forza della miseria crescente. Adunque la necessità del nuovo riparto sorge dall'intimo dell'economia politica, è imperiosa come la ragione e la vita dell'uomo, e impone alla comunanza dello Stato la missione di eguagliare le fortune.
Concludiamo. Interrogata sotto ogni aspetto, la filosofia conduce a due inevitabili conseguenze, il regno della scienza, il regno dell'eguaglianza. Questo era l'intento dei primi filosofi, questo è l'intento della rivoluzione. I primi filosofi furono i precursori della rivoluzione: ma traditi dalla metafisica, sentivansi solitari, impotenti, inviluppati da ostacoli infiniti; e invocando i demoni, le favole, un artificio estrinseco, un felice inganno, cadevano sotto il felicissimo inganno della chiesa; Socrate non poteva regnare se non sotto la protezione di Cristo.
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