Nel regno adunque che č sovrano, nel regno che č patria naturale dei filosofi da Empedocle a San Tomaso, da San Tomaso a Giordano Bruno, sorge per la prima volta la filosofia della storia, e si presenta con apparizione straordinaria, come lo sono i suoi destini. Difatto chi la rappresenta? Chi ne traccia le prime linee? Chi la chiama scienza e ne stabilisce gli assiomi e i teoremi imitando la precisione dei matematici? Chi sottentra al pontefice per farsi pontefice dell'idea che sovrasta a tutti i culti? Forse l'uno dei condottieri del pensiero? Forse un uomo che scuote le moltitudini e fa impallidire i principi della terra? Forse un uomo che le inquisizioni devono spegnere, perchč la sua voce non propaghi qualche sacrilega veritą? Forse un arditissimo assalitore d'ogni istituzione antica e venerata? No certo, ma un oscurissimo professore di rettorica, ossequioso verso ogni autoritą costituita, verso ogni pił insipida illustrazione; un uomo che si prosterna annualmente dinanzi a tutti i vicerč della Spagna e dell'Austria, che non sospetta nemmeno che sia l'onore della politica, l'orgoglio di un'opinione, un uomo che celebra in quattro lunghissimi libri il tanto aborrito, come dice il Muratori, general Caraffa, specie di capitano da caserma, carnefice degli Ungheresi, tiranno in Italia, un uomo infine che umilmente proferisce e dedica il libro suo al sommo pontefice il quale non s'accorge neppure del dono.
Tale č il carattere supremo del genio che ignora sč stesso, che č figlio della natura, e che inconsciente profeta ricade nella folla finito il vaticinio, lasciando alla posteritą la cura di raccogliere i fogli sparsi delle sue opere.
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