L'istinto suo gli fa evitare i più mediocri, seguire i più distinti e prediligere il diritto. Napoli, che è la Parigi del mezzodì, gli apre una fiorentissima università, eleganti convegni di letteratura, ed egli sente l'alito della nuova età, che chiama dell'oro, tanto odia l'antica. Nè vi dolga che sia in uno studio d'avvocato, avvocato egli stesso, forzato di scrivere allegazioni per i cittadini di Lecce o per il principe Spinelli. Sentitelo nelle sue memorie inedite: "Gli avvocati, vi dice egli, percorrono due stadii: nel primo lavorano molto e guadagnano poco, nel secondo lavorano poco e guadagnano molto; ma il secondo stadio mai non cominciò per me, e fui sempre povero".
Qual voce lo scuote adunque in mezzo ai tumulti di Napoli? Quella del vecchio Aulisio, perchè gli dice che nello studiare le leggi deve guardare la storia: "Egli fu (cito le sue memorie inedite) che m'inculcò lo studio della storia romana, dicendomi che quanto era nelle Pandette di Giustiniano, nel suo Codice, e Novelle, non poteva esattamente intendersi senza di essa". Cujaccio gli cade fra le mani, ne copia i cinque libri de feudis, perchè non ha denaro per comprarli; ma guardate il copista, seguitelo cogli occhi; la legge dei feudi gli fa dominare la storia dì Napoli, e sotto la sua penna il libro si carica di note e si trasforma: "sopra i quali libri dei feudi, dice egli ancora nelle sue memorie inedite(3), secondo che andava acquistando maggior conoscenza, andava aggiungendo altre note e nuove riflessioni accomodate agli usi degli studi del regno di Napoli".
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