Considerate, se volete, queste mie ipotesi come semplici possibilità, ma esse conducono al teorema che una conquista può essere un progresso, e determinare un'epoca, purchè se ne chieda la ragione ai vinti, e non ai vincitori come troppo empiricamente tenta di farlo Giannone; e se la chiedete ai vincitori, allora converrà rintracciarla in Svezia, in Pannonia, in Francia, in Aragona, in Provenza, in Germania, a Madrid, nè si potrà scoprire prima di conoscere la ragione nell'universo intero.
Invero Giannone crede che urge uscire dal regno per meglio conoscerlo, e rifiutandosi di considerarlo "come un'isola sorta in mezzo all'Oceano", l'associa alla storia di Roma, sede dell'alto dominio delle Due Sicilie, e dei pontefici primi direttori delle invasioni, che mutano periodicamente le sorti italiane. Ma raggiunge egli l'intento suo? Conosce egli le epoche romane meglio delle meridionali? Le esplora egli nel popolo che vive sotto il governo pontificio? Discerne egli le rivoluzioni sia temporali, sia spirituali della Chiesa? Le analizza egli nelle moltitudini che rinnovano di continuo l'eterna città? Tiene egli conto del moto cattolico romano che trasforma le popolazioni a traverso le diverse età dei vescovi, dei consoli, dei podestà, dei Guelfi e Ghibellini, dei signori e dei condottieri? S'accorge egli come il papato implichi di continuo l'impero? come sia signore di una metà dell'Italia, perchè l'altra metà obbedisce all'alto dominio di Cesare? Sospetta egli che in virtù del patto pontificio ed imperiale, l'Italia formi una federazione, e che ogni rivoluzione meridionale corrisponda quasi anno per anno alle rivoluzioni del Nord?
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