Con queste premesse si risponde alle dimande che propone Giannone nei titoli dei primi due capi della parte seconda del Regno terrestre. - "Cap.I. In che discordasse, chiede egli, la dottrina di Mosè da quella professata dai filosofi delle altre nazioni intorno all'origine del mondo, dell'uomo e di tutte le altre mondane cose. - Cap.II. In che gli Egiziani, i Fenicj i Lidii ed altri filosofi facessero consistere la natura dell'uomo, e come fossero di conforme sentimento con Mosè che uno spirito animava l'universa carne ".
La discrepanza stava nella forma, nel velo delle metafore, o delle allegorie, nelle avventure favolose degli dêi, ma tanto gli Ebrei quanto i Gentili tutto subordinavano al nostro fine mondano e la consuonanza era perfetta nel credere che uno spirito animava l'universa carne, che una sola vita dava il moto ad ogni animale il quale morendo rendeva il soffio al principio da cui l'avea ricevuto.
Molte obbiezioni potrebbe destare la dottrina di Giannone, e benchè io mi creda dispensato dal rispondervi attenendomi alla parte di semplice interprete, il dovere dell'interpretazione mi impone di combattere un equivoco. Si potrebbero facilmente accumulare innumerevoli passi tolti dalla mitologia, dai libri sacri, dalle memorie antiche d'onde consta l'antica credenza de' popoli in una vita avvenire: si potrebbe citare per esempio la credenza alla metempsicosi che spiega l'intera religione degli egizj, e dato che tenevansi destinati gli antichi a rivivere di continuo per correre un ampio ciclo di risorgimenti e di trasmigrazioni o di peripezie vitali non proclamavano forse implicitamente per tal modo il dogma della vita futura?
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