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      Che la morte non puniva un colpevole, che dessa(14) è la fine de' nostri mali, un momento più felice che fatale.
      I filosofi del Senato romano erano adunque ancora più terrestri che la loro religione; credevano più a Roma che a Romolo, più a Numa che alla sua ninfa inspiratrice, e professavano pur sempre la religione della terra promessa. Che se vi allontanate da Roma, se vi trasportate a Capua negli ultimi istanti della sua esistenza quando il nemico la cinge, quando si prepara a smantellarla, quando nessun abitante più non spera di sopravviverle, quando all'indomani ognuno attende l'ultimo eccidio della strage e la miseria eterna della schiavitù, che fanno i senatori della repubblica? Pensano forse alla vita futura agli dei dell'Olimpo, all'avvenire posmondano? Riuniti in un banchetto essi danno l'ultimo addio alla terra e bevono il veleno, sicuri di addormentarsi per sempre.
      Torna inutile il citare altri filosofi e sotto l'aspetto della religione sono tutti riassunti da Plinio. "Dopo la sepoltura, dice egli nel libro C.VII 55 della sua Storia naturale, si raccontano varie cose e dubbiose delle anime, ma ognuno dopo la morte è come avanti la vita, nè il corpo o l'anima ha alcun sentimento di più di quello ch'egli aveva innanzi ch'ei nascesse. Ma la vanità umana si distende ancora nell'avvenire, e ne' campi della morte essa mentendo a sè stessa ancora si promette la vita, ora dando all'anima l'immortalità, ora la trasmigrazione, ora il senso agli inferi, e adorano le anime infernali, e fanno Dio quello che non è più uomo, come se per alcun modo l'uomo aliti o respiri di altra maniera che gli altri animali non fanno, o come non si trovino altre cose di molto più lunga vita le quali però da niuno sono tenute immortali.


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La mente di Pietro Giannone
Lezioni
di Giuseppe Ferrari
Tipografia del Libero Pensiero
1868 pagine 187

   





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