Convien confessarlo; la Chiesa lottò lungamente contro la corrente della poesia e dei sofismi che avversavano l'Apocalisse. Fino dal V secolo Gennadio, prete marsigliese, tentava di conciliare i due sistemi opposti, distinguendo due gradi di beatitudine, l'uno accordato alle anime erranti nel vestibolo del paradiso, l'altro più perfetto riservato agli eletti dopo il giudizio universale. Ma sotto il pontificato di Gregorio I, la beatificazione immediata sfondava le porte del cielo, e durante il medio evo i portici esteriori del regno celeste cadevano in rovina. S. Bernardo tentò in vero di restaurarli, e grazie alla sua influenza, le anime benedette ricominciarono il loro passeggio d'aspettativa; che anzi il pontefice Giovanni XXII fece imprigionare un monaco spagnuolo che non ammetteva quest'indugio, fondandosi sulle espresse parole di Cristo al buon ladrone: oggi tu sarai meco nel regno dei cieli. Perchè adunque, diceva egli, lasciare tanti santi sotto i portici? Ma il papa non mancava di buone ragioni: bisognava salvare l'Apocalisse, tener ferma l'Autorità del Vangelo stesso, lasciar sussistere l'incendio universale, la caduta delle stelle sulla terra, il fracasso delle trombe, il destarsi dei morti di tutti i secoli; che se permetteva il dubbio su d'una parte sì vasta del dramma cristiano, qual parte ne restava poi incolume? Il dubbio avrebbe scosse le coscienze e alla fine nel 1439 il concilio di Firenze trovò un ripiego, e conciliò il cielo del papa con quello di S. Giovanni, accordando ai santi la visione beatifica di Dio, finchè alla fine del mondo, nuovamente dotati di corpo, potessero passare dalla semplice visione al pieno possesso.
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