Appena vede la petizione di Giannone, che gli si dichiara vittima della religione a causa delle sue lotte contro i canonisti, tosto gli balena nella mente l'ingegnosa idea di sacrificarlo al papa per inaugurare le trattative del Concordato. Scrive quindi a Milano di scacciarlo nel termine di 48 ore, e ne trasmette graziosamente la notizia al cardinale Albani, protettore di Sardegna presso la Corte di Roma. I cardinali se ne rallegrano, ed incoraggiano il ministro a perseverare nella buona via, scacciando lo storico anche da Torino e da Chambery, dove vi capitasse. "Si spera, (gli risponde l'Albani il 13 ottobre 1735), che altrettanto farebbe Sua Maestà se mai si ricoverasse ne' suoi dominj". "Notate almeno (replica il ministro il 1.° novembre) che non è restato a Milano sì lungo tempo quanto a Venezia". Nuova contentezza nel concistoro, che questa volta chiede di più. "Se avessimo creduto, scrive Albani, d'incontrare tanta condiscendenza, avremmo domandato che Sua Maestà l'avesse fatto arrestare, per togliere a quel disgraziato il modo di far più male; come potrebde(23), se mai si potesse in paese eretico". Ma il ministro aveva già prevenuto questo pio desiderio. Visto che il sacrificare Giannone giovava meravigliosamente ai preliminari di una riconciliazione, subito egli aveva decretato di arrestarlo. Se non che tardi era giunto il nuovo ordine a Milano, tardi era stato ripetuto a Torino e sulla via di Savoja, e la frontiera Svizzera proteggeva oramai lo storico, rifugiato col figlio a Ginevra.
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