La figlia che nacque per così dire mutata lagrimava di continuo colla madre nel misterioso suo destino che le separava dai viventi. Giovannino non arricchì certo colla scarsa e sfrondata eredità del padre, che gli convenne strappare giudizialmente all'avido zio. Appena il governo piemontese gli restituì il misero importo di 87 ducati per i libri e gli oggetti che il prigioniero non aveva mai potuto ottenere; inutilmente ricominciò sotto Carlo III la carriera delle armi che aveva tentato sotto l'Austria e dopo di aver passato l'infanzia nelle vie di Napoli, la giovinezza nelle carceri del piemonte e nelle guerre d'Ungheria, adulto vicino si vide alla miseria.
Però quando, passati felicemente all'altra vita tutti ì persecutori di suo padre, attendevasi forse ad un'eterna ingratitudine; quando un'altra generazione immemore del passato, ignorava oramai le amicizie, le relazioni, i desiderii e la vita del prigioniero di Torino; quando il suo nome non aveva più alcun senso personale, nè più toccava ormai ad alcun interesse, allora la voce crescente del secolo, proclamandolo tra i più liberi pensatori della nostra penisola, il povero figlio vide giungere nella sua stanzuccia il seguente rescritto del ministro Bernardo Tanucci: "Informato il re della strettezza in cui trovasi D. Giovanni Giannone, figlio ed erede del fu D. Pietro, autore della Storia civile di questo regno: considerando non convenire alla felicità del suo governo e al decoro della sovranità il permettere che resti nella miseria il figlio del più grande, più utile allo Stato e più ingiustamente perseguitato uomo che il regno abbia prodotto in questo secolo, è la M. S. venuta in dare a D. Giovanni Giannone ducati 300 annui di pensione sui proprj allodiali.
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