Da quanto ho fugacemente detto una massima e spontanea conclusione si ricava: che cioè la quantità e la specie dei delitti, ogni anno commessi in ogni paese, sono determinate dal vario e continuo concorso dei tre ordini di fattori dianzi accennati, i quali, più o meno secondo i diversi delitti e delinquenti, ma tutti cospirano alla determinazione dell'attività criminosa, antisociale. Vale a dire, quindi, che la pena, sia come motivo psicologico di una minaccia legislativa sia come costrizione fisica di uno o più individui, non può bastare da sola ad impedire il delitto, che avendo una congerie così molteplice di cagioni non può avere un solo e così semplice rimedio, come nel campo terapeutico non può esservi una panacea per tutte le cause morbigene.
Talchè dallo studio analitico dei vari fattori criminosi, sgorga subito un grande insegnamento pratico, assai più fecondo delle più alte ed astruse elucubrazioni giuridiche della classica scienza: insegnamento, già, come platonico voto, avanzato dalla voce solitaria ed inascoltata di qualche criminalista, più positivo per tempra intellettuale, come Filangieri, Bentham, Romagnosi, Carmignani, Ellero; ma insegnamento che soltanto in queste preliminari ricerche di anatomia sociale trova, colla nuova scuola, la base vitale, necessaria per un ulteriore sviluppo scientifico, conducente alla sua pratica applicazione. Ed è, che a rattenere, dunque, la fiumana minacciosa del delitto, più che alle pene, la società deve affidarsi al magistero di quei provvedimenti di prevenzione indiretta, sociale, che io dissi sostitutivi penali, appunto perchè, una volta applicati, fin dove possono giungere, disseccano la sorgente criminosa e cosa, togliendo il delitto, tolgono la necessità della pena.
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