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      A porre ciò in chiaro dovrei seguire passo passo Virgilio e Dante nel loro cammino, e dovrei non solo mostrare come Virgilio non abbandona mai Dante per tutta la via dell'Inferno e del Purgatorio, ma considerare ancora l'ufficio che continuamente gli rende. Ma perchè questa è cosa che può riscontrarsi agevolmente da chi abbia la pazienza di passare e di esaminare la Divina Commedia sotto questo rapporto, così la tralascio e mi contento di richiamare l'attenzione soltanto sopra alcuni punti che mi pajono più caratteristici e rilevanti.
      Virgilio dopo avere guidato il suo alunno senza contrasto, pianamente, fino alle porte di Dite, quivi gli s'intima dai demoni, che avevano in guardia la città crudele, che sia rimandato Dante per la folle strada che aveva fatto; a provare, dicono i demoni, s'egli sappia così uscire come arditamente entrò accompagnato da Virgilio, il quale vorrebbero ritenere a quelle porte; onde Virgilio per indurli ad accoglierli si fa a parlar loro in segreto. Ma i demoni, lungi dal concedere il passo, gli chiudono le porte in faccia. Grande è l'avvilimento del nostro poeta a questo caso, grande è l'ira e l'ostinazione di Virgilio che ne vuole pur vincere la prova, non già per confidenza che abbia in se stesso, ma perchè s'aspetta chi l'ajuterà (Inf., C. VIII, v. 82-130). Infatti ecco venire (Inferno, C. IX).
     
      v. 64. «...... su per le torbid'ondeUn fracasso d'un suon pien di spavento,
      Per cui tremavano ambedue le sponde»;
     
      e così più di mille anime distrutte fuggire
     
      v. 80. «..... dinanzi ad un, che al passo


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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