Passava Stige colle piante asciutte.
Dal volto rimovea quell'aer grasso,
Menando la sinistra innanzi spesso;
E sol di quell'angoscia parea lasso».
Ben s'accorse Dante che questi che veniva era un messaggiero del cielo; il quale giunto alla porta di Dite,
v. 89. «..... con una verghettaL'aperse, chè non v'ebbe alcun ritegno.
O cacciati dal ciel, gente dispetta,
Cominciò egli in su l'orribil soglia,
Ond'esta oltracotanza in voi s'alletta?
Perchè ricalcitrate a quella voglia,
A cui non puote il fin mai esser mozzo,
E che più volte v'ha cresciuta doglia?
Che giova nelle fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo.
Poi si rivolse per la strada lorda,
E non fe motto a noi: ma fe sembianteD'uomo, cui altra cura stringa e morda,
Che quella di colui che gli è davante».
Appresso di che i due poeti entrarono liberamente dentro le dischiuse porte.
Questi demoni che si oppongono all'entrata di Virgilio che seco menava Dante, figurano, a mio avviso, le difficoltà che stava per incontrare il poeta o la poesia, adesso che entrar doveva a descrivere pene di peccati conosciuti e trattati solo dalla morale cristiana, dei quali non aveva scritto, e quindi a descriverli non gli poteva somministrare esempio alcun poeta pagano(12). L'ira e l'ostinazione di Virgilio nel voler superare il contrasto che gli facevano i demoni, e insieme il suo confortar Dante che sarebbero pur entrati mercè d'un possente aiuto che stava per venire, è lo sforzo che, non ostante la mancanza di quegli esempi, l'estro poetico e l'invenzione (e ciò è poesia) avrebbe fatto per vincere le difficoltà del descrivere, e l'aiuto certo che per la materia da trattare gli avrebbe data la Teologia (l'angelo), la quale avrebbe posto sott'occhio quei peccati che solamente il cristiano conosce, e che non poteva conoscere Virgilio pagano, massimamente in tutte le loro distinzioni.
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