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      In cui usa avarizia il suo soperchio»
     
      e vengo di proposito al Canto XIX dell'Inferno. Il poeta dopo averlo incominciato cantando:
     
      v. 1. «O Simon mago, o miseri seguaci,
      Che le cose di Dio, che di bontateDeon essere spose, e voi rapaci
      Per oro e per argento adulterate»;
     
      narra come alla terza bolgia trovò i peccatori che stavano capovolti, dimenando i piedi scottati in sulle piante, che tenevano fuori d'un foro, a cui erano raccomandati. Fra questi avea un cotale che si crucciava
     
      v. 32. «Guizzando più che gli altri suoi consorti,»
     
      travagliato com'era da una fiamma più rossa. Sicchè venuta voglia al poeta di sapere chi fosse, gli fu insegnato da Virgilio di scendere fin dove il dannato aveva la testa. E
     
      v. 40. «Allor venimmo in su l'argine quarto;
      Volgemmo, e discendemmo a mano stancaLaggiù nel fondo foracchiato ed arto.
      E 'l buon Maestro ancor dalla sua ancaNon mi dipose, sin mi giunse al rotto
      Di quei che si pingeva con la zanca.
      O qual che se', che 'l di su tien di sotto,
      Anima trista, come pal commessa,
      Comincia' io a dir, se puoi, fa motto.
      Io stava come 'l frate che confessaLo perfido assassin, che poi ch'è fitto,
      Richiama lui perchè la morte cessa.
      Ed ei gridò: Se' tu già costì ritto,
      Se' tu già costì ritto, Bonifacio?
      Di parecchi anni mi mentì lo scritto.
      Se' tu sì tosto di quell'aver sazio,
      Per lo qual non temesti torre a ingannoLa bella Donna, e di poi farne strazio?
      Tal mi fec'io, quai son color che stanno,
      Per non intender ciò ch'è lor risposto,
      Quasi scornati, e risponder non sanno.
      Allor Virgilio disse: Dilli tosto,


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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