Chè la vostra avarizia il mondo attrista,
Calcando i buoni e sollevando i pravi.
Di voi pastor s'accorse il Vangelista,
Quando colei che siede sovra l'acque,
Puttaneggiar co' regi a lui fu vista:
Quella che con le sette teste nacque,
E delle diece corna ebbe argomento,
Fin che virtute al suo merito piacque.
Fatto v'avete Dio d'oro e d'argento:
E che altro è da voi all'idolatre,
Se non ch'egli uno, e voi n'orate cento?
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
Non la tua conversion, ma quella doteChe da te prese il primo ricco patre!
E mentre io gli cantava cotai note,
O ira o coscienza che 'l mordesse,
Forte spingava con ambo le piote.
Io credo ben ch'al mio Duca piacesse,
Con sì contenta labbia sempre attese,
Lo suon delle parole vere espresse».
Noi vediamo che Dante rimproverando la simoniaca avarizia dei Papi con forti e vere parole accagiona di questo gran male la dote che Costantino fece al primo ricco patre, al primo Pontefice che ebbe Stato.
Al Canto XXVII dell'Inferno, risposto che ebbe il poeta a Guido da Montefeltro sopra certa domanda; e richiesto chi mai fosse costui, la cui anima andava involata dentro una fiamma
v. 58. Poscia che 'l fuoco alquanto ebbe rugghiatoAl modo suo, l'aguta punta mosse
Di qua, di là, e poi diè cotal fiato;
S'io credessi che mia risposta fosseA persona che mai tornasse al mondo,
Questa fiamma staria senza più scosse.
Ma perciocchè giammai di questo fondoNon tornò vivo alcun s'i' odo il vero,
Senza tema d'infamia ti rispondo.
I' fui uom d'arme, e poi fu' cordigliero,
Credendomi, sì cinto, fare ammenda
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