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      Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
      Monaldi e Fílippeschi, uom senza cura,
      Color già tristi, e costor con sospetti.
      Vien, crudel, vieni, e vedi la pressuraDe' tuoi gentili, e cura le magagne,
      E vedrai Santafior com'è sicura.
      Vieni a veder la tua Roma che piagne,
      Vedova, sola, e dì e notte chiama:
      Cesare mio, perchè non m'accompagne?
      Vieni a veder la gente quanto s'ama;
      E se nulla di noi pietà ti muove,
      A vergognar ti vien della tua fama.
      E se licito m'è o sommo Giove,
      Che fosti in terra per noi crucifisso,
      Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
      O è preparazion, che nell'abissoDel tuo consiglio fai per alcun bene,
      In tutto dall'accorger nostro scisso?
      Chè le terre d'Italia tutte pieneSon di tiranni, ed un Marcel diventa
      Ogni villan che parteggiando viene».
     
      Questo è ciò che leggiamo scritto nell'Inferno e nel Purgatorio, e basterebbe assaissimo per far chiara la mente del poema, e l'intendimento suo; molto più adorno qual è e coronato dalle due allegorie al Canto XIV dell'Inferno ed ai Canti XXXII e XXXIII del Purgatorio. Delle quali la prima viene a dire, col veglio che sta dentro al monte Ida nell'isola di Creta guardando a Roma, come la pravità dei costumi al tempo del poeta derivi in ultimo dalla Chiesa di Roma, la quale è sempre specchio, corrotta o no, ed esempio dove mirano i Cristiani(16); e l'altra, ripetendo che la dote di Costantino malignò ed empì di gramigna il soave campo della Chiesa, manifesta che la Chiesa di Cristo attende dall'impero ristoro e giovamento(17).
      Ma quantunque stando alle parole di Dante ai versi 112-120, ed agli altri 133-135 del Canto I dell'Inferno ci dovessimo aspettare che nella prima e seconda Cantica venisse esaurito quel proponimento che il poeta si era prefisso, perchè il Paradiso dovesse essere come appendice al poema da principio divisato (ved. i v. 121-123, C. I dell'Inferno); in questo Paradiso, giacchè al poeta piacque pure di cantarlo, continua a trattarne in modo che, come ogni altro disegno, così questo meglio colorisse e perfeziona.


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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