CAPO IV
Il senso anagogico.
Bastando il fin qui detto per istabilire quello che Dante volle prefiggersi col suo Poema, la qual cosa implica il senso morale della Divina Commedia, passiamo a dimostrare il senso anagogico, che è quello onde spiritualmente si spone una scrittura, la quale eziandio nel senso letterale significa delle superne cose dell'eternale gloria. Veramente prima di venire a questo dovrei pur dichiarare il senso letterale, su cui l'anagogia tutta viene lavorata. Ma stimo di dovermene dare poca cura, e di ritenerlo già come esposto, dal momento che fu manifestato anche il senso morale, il quale pure del senso letterale grande parte comprende; e dal momento che è tanto agevole per tutti di riconoscere in chiaro modo che litteralmente il Poeta descrisse le pene a che Iddio eternamente condanna i peccatori nell'Inferno, come nel Purgatorio sono tolte le macchie delle colpe perdonate, e come in Paradiso vengano cinti di gloria coloro che santamente vissero sulla terra.
Dissi che anagogicamente intese Dante dimostrare per quali vie si cada nella colpa e in quanti modi si divenga nemico di Dio; e ciò nell'Inferno: per quale guisa dalle catene, in che lega il peccato, si possa l'uomo liberare, cioè colla confessione e la penitenza che rimette l'anima nella grazia divina; e ciò nel Purgatorio: come chi abbia riacquistata la grazia divina venga ammesso alla beatitudine eterna; e ciò nel Paradiso.
Colla iscrizione veduta sopra la porta dell'Inferno dopo che il Poeta ha voluto significare che è per il peccato che l'uomo perde l'anima, e che quindi pianti, lamenti, sospiri, inquietezza, ira, bestemmie sono tutti frutti del peccato, il quale circonda la mente di tenebre (Inf., C. III, v. 1-30), per dimostrare quale è la via onde si diviene peccatore, afferma che l'indifferenza e il non esercizio delle opere buone fanno scala al peccato (Inf., C. III, v. 33-69).
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