Caronte, dimonio che reca le anime all'altra riva, battendo col remo qualunque di loro s'adagi, è la colpa che tragitta l'anima del peccatore ai tormenti, e che sprona i cuori più duri e restii ad essere rimorsi (Inf., C. III, v. 109-118).
Il Canto IV è speso a parlare del limbo dove sono quelli che non ebbero battesimo; ma nel V colla descrizione di Minosse (v. 1-15) che esamina tutti che innanzi a lui si confessano, che giudica e manda, onde sono poi giù volte l'anime che dicono e odono, viene detto che il demonio, il quale si apparecchia a tentare a colpa, esamina prima il cuore dell'uomo, e conosciuto dove la prava natura più l'inclina, quivi batte; e l'infelice, che gli presta orecchio, e colla tentazione si ferma quasi a discorrere (dicono e odono) cade nell'insidia e giù precipita.
Detto come l'uomo scivoli a peccato, tutte le maniere di colpa onde si diviene peccatore e nemico di Dio sono divisate e punite nelle bolge infernali, le quali vi conducono a grado a grado fin dove il peccatore è una istessa cosa con Lucifero o il peccato, che l'anime maciulla colle sue tre orride bocche, cioè dà morte.
Ma allora qual rimedio a tanto male? Si appigli l'uomo caduto (così descrisse Dante d'aver fatto per uscire dall'Inferno) in peccato alle vellute coste di Lucifero, cioè del peccato stesso; poscia giù discenda di vello in vello andando tra il folto pelo e le croste gelate, e quando egli sarà giunto là dove la coscia si volge appunto in sul grosso dell'anca, per quanto ne senta fatica ed angoscia
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